venerdì 2 gennaio 2009

IL PAESAGGIO AGRARIO NELLA ROMAGNA TOSCANA

I Boschi di Querci, di Carpini, di Frassini si sollevano fin’oltre le mille braccia
dal livello del mare; dopo di chè succedono qua, e la delle zone di castagni, a cui per ultimo sieguoni faggete ricchissime. In taluni siti settentrionali, e meno gradati dal sole l’abete eleva il maestoso suo tronco. Al di là del faggio gli Appennini sono coperti fino all’ultima vetta da immense praterie natuarali. Il grano, l’orzo, e dil formentone, si ritrovano ad ogni passo della Provincia dalle ime valli fin entro la regione del faggio. ... Più abbondante è forse la coltivazione del cece ... copiosa è la cultura delle fave specialmente nei luoghi bassi, e piani, ed in quelli sciolti, e profondi di mezza costa. La veccia, i veggioli, il moco, il rubiglio, la cicerchia, la lente ... sono largamente coltivate, e dal piano s’innalzano anche al di là della zona del castagno. Brevi sono i tratti destinati alla medica: più ampi quelli ove vegeta la trigonella, o fieno greco ... in ristrette punti del piano
[Sulla struttura geologica della Romagna Toscana – L. Fabroni - 1894]

A metà del ‘900 il paesaggio collinare dell’entroterra forlivese era probabilmente ancora molto similie a quello dei secoli precedenti. Diverse condizioni avevano contribuito a mantenerne inalterati i caratteri ambientali del territorio in particolare:
- l’autosufficenza poderale della famiglia mezzadrile fondata sull’uso colturale della rotazione agricola, della concimazione organica, del riposo a meggese;
- l’isolamento dei “campagnoli” dai grandi centri artigianali di pianura (le occasioni per frequentare i “cittadini” e scambiare o raccogliere informazioni sugli eventi dell’epoca erano solitamente i mercati mensili di bestiame o le maggiori feste religiose dell’anno);
- il senso di profonda religiosità e il rispetto per così dire “ecologico” verso la natura circostante;
- il lavoro rurale impostato su forme cicliche e ripetitive.
Una “ideale” immagine del paesaggio rurale “antico” ci viene offerta sia dalle fotografie “d’epoca” sia dai documenti storici.
Dal Catasto Agrario della Romagna Toscana di fine ’800, si viene a conoscenza delle colture prevalenti nelle colline della Val Montone: pochi erano gli incolti (le “sode”); il pascolo avveniva all’interno del bosco e sui campi a maggese; la vite risulta essere la coltura arborea principale, coltivata in filari sostenuti da alberi, in prevalenza gelsi, olmi, aceri campestri; sono pure presenti alberi fruttiferi quali il mandorlo ed il ciliegio nelle varietà marandona per le ciliegie in guazzo, viscicola per bevande rinfrescanti e corniola, dura e croccante.
Molto diffusi sono grandi esemplari di pero volpino e pera spina, meno frequenti albicocchi, pruni, meli e cotogni; sporadicamente nespoli, peschi e fichi.
I noci sono impiantati nei pressi della casa colonica assieme a qualche isolato esemplare di melograno, giuggiolo ed azzeruolo. Quercie ed olivi secolari, isolati o in gruppo, sono presenti in mezzo ai coltivi costituiti in prevalenza da grano (38%), colture sarchiate di cui il 10% granturco e il restante 6 % patate, leguminose da granella, bietole da foraggio ed ortaggi di grande coltura; maggese (6 %) con riposo biennale o triennale e, prato di cui 15% naturale e 20 % artificiale (luppinella, erba medica, trifoglio pratense, sulla e colture minori su cui domina la canapa).
Le siepi (a protezione delle colture) di biancospino e marruca, recintano i poderi nei quali si trovano in modo massiccio i cipressi in lunghi filari lungo i viottoli di accesso alle case padronali o a ridosso della corte colonica e a protezione dei pagliai.

… il territorio del comune di Terra del Sole e Castrocaro si estende per l’angusta valle del Montone e sulle colline che la costeggiano … e più precisamante nelle parrocchie di Terra del Sole, Castrocaro, Virano e Pieve Salutare si estendono per un certo tratto piane o quasi piane, dir si possono relativamente assai fertili … quivi cresce di preferenza ogni sorta di cereali, orgalie e frutta, mentre nelle colline che pure son parte di queste parrocchie vedonsi ricchissimi vigneti, e qua e là sparse non poche piante d’ulivo … il gelso trovasi in tutto il territorio coltivato in proporzioni eccezionali … [Topografia medica di Terra del Sole - Ferretti - 1871]

Fra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900 l’innovazione delle tecniche colturali ha provocato una rivoluzione determinato profondi mutamenti sia nel paesaggio rurale (scomparsa di specie autoctone sostituite da altre d’importazione extraterritoriale) sia nella società agricola (perdita di consuetudini rituali e di caratteri identificativi originali).
L’introduzione di fertilizzanti inorganici nelle rotazioni colturali unita ad una maggior selezione ceralicola, hanno consentito la semina di grani più adatti ai diversi terreni, aumentando così il raccolto; nuovi modi di potatura di viti ed olivi ne hanno aumento le rese; la sotituzione di piante fruttifere antiche con nuove d’importazione a maggior reddito; l’introduzione di razze di bestiame più produttivo ha fatto crescere il numero di capi per podere e soprattutto, l’introduzione della meccanizzazione ha incrementato la produttività dei mezzi di produzione e le rendite del lavoro umano, rendendo superflua gran parte della popolazione rurale che è stata costretta ad abbandonare le campagne.
Inizia quindi a partire dall'inizio degli anni cinquanta del ‘900 e secondo una parabola che diventa emorragica tra la fine di quel decennio e l’inizio del decennio successivo un'abbandono sempre più tumultuoso della campagna da parte dei mezzadri. Da un raro giornalino locale (Il Montone - 1 febbraio 1954) si legge “… Molti poderi vengono definitivamente abbandonati, le stalle restano chiuse, i campi restano incolti. … i contadini della montagna non possono vivere nelle case semidiroccate, in luoghi dove mancano strade e fonti, dove la terra è avara … l'ingiustizia dei contratti agrari, l'esosità delle tasse (prima fra tutte l'imosta di bestiame), la grettezza dei padroni che vogliono costringere i contadini ad una vita umiliante in case che sono tuguri …” Sono questi gli anni in cui si assiste al massimo sfruttamento del territorio con conseguente diminuzione della diversità biologica delle specie vegetali e delle varietà colturali nei poderi:
- le colture di grano soppiantano quelle di mais;
- i campi conquistano i vecchi residui di boschi cedui e scompaio le antiche siepi;
- sia le leguminose da granella sia le pinate tessili del lino e della canapa vengono abbandonate rendendo improduttiva l’antica rte del bozzolo da seta;
- i gelsi e gli alberi utilizzati come sostegni vivi delle viti vengono spiantati;
- infine, l’abbandono delle campagne contribuisce da un lato al degrado delle antiche case coloniche perdendo così un ricco patrimonio architettonico tipico; dalll’altro, la sola azione dei fenomeni naturali porterà alla erosione e all’impoverimento della fertilità dei terreni.
L’unica azione visibile attuata dall’uomo è stato il rimboschimento forzato degli incolti che ci consegna un paesaggio sicuramente più ricco di boschi, ma impoverito di specie coltivate e uniformato a monocolture prevalenti di grano, erba medica e di pochi e specializzati vigneti e frutteti. Sono comparse ai bordi delle strade piante infestanti di rovi, vitalbe e robinia che si sono sostituite progressivamente agli antichi filari di cipressi.
Infine, l’espensione urbanistica dei centri di fondo valle in particolare con l’insediamento di grandi e ingombranti fabbricati per attività artigianli e industriali hanno sottratto alla campagna, cemetificandoli, gli ultimi ferili terreni alluvionali.
Così, in breve svolger di tempo la trasformazione industriale ha cancellato per intero l’antico mondo rurale frutto di una complessa costruzione durata secoli e se, la modernità ci consente oggi di vivere certamente meglio dei nostri padri e dei nostri nonni, ci deve comunque permettere di conservare e trasmettere alle generazioni future la memoria storica della civiltà contadina.


(il braccio fiorentino corrisponde a circa 0,586 metri.)
(veccia = conosciuta meglio oggi con il nome di soia) (veggioli = leguminosa un’erbacea nettarifera) (moco = pianta erbacea delle leguminose veniva usato anticamente per il bestiame e, in momenti di carestia, serviva a ricavare anche delle farine) (è una sorta di pisello selvatico, veniva tradizionalmente utilizzata per la preparazione di una polenta)

Nessun commento:

Posta un commento