venerdì 2 gennaio 2009

IL PAESE E LE SUE COSTUMANZE

… Abbiamo costumanze, intorno alle quali si aggirano brevi ma intensi canti allusivi a faccende della campagna, a riti, superstiziosi e ad altri momenti della vita …
Con questa breve premessa tratta da uno dei saggi dedicati ai canti popolari, ai rispetti e stornelli, alle novelle, alle favole e ai canti fanciulleschi, raccolti sui monti della Romagna Toscana che Paolo Fabbri pubblicò all'inizio del '900 in "Archivio per lo Studio delle Tradizioni Popolari", iniziamo un nuovo viaggio alla scoperta della nostra cultura popolare:
Quando, per esempio, i contadini vogliono sfogliare il frumentone chiamano i vicini a questa sfoglieria, che si riduce ad un ritrovo contadinesco, ad un'allegra e laboriosa veglia di uomini e donne: allusivo a questa circostanza hanno il seguente rispetto:
Chi vuol venir con me alla sfoglieria
Chi 'on ha la scranna, gli darò la mia;
Io gli darò la mia che l'è d'ore:
Venì alla sfogliaria, allegratore;
Io gli darò la mia ch'l'è d'arzente:
Venì alla sfoglieria allegramente.

Di questa sturnèla romagnola (stornella romagnola - strambotto, dal provenzale combattimento, contesa o gara fra caterini), esiste una splendida versione raccolta da Antonio Filiberto Fantucci nella Valle del Montone e da lui pubblicata nel suo Canti a la stesa della Romagna del 1928 nota come chènta a la buèra (canto del boaro) che si concludeva col così detto oròl (urlo) pieno di giosità selvaggia che i contadini usavano emettere alle fine dei lavori di mietitura:
Bèl e' mi mòr,
ven a la sfuerìa,
's tu u n'ha la scrana,
ti darò la mia
guarda che bèl sern,
che bèle stèle,
che bèla nòta
da rubar le bèle

Bello il mio moro,
vieni alla sfoglieria,
se non hai la sedia
ti darò la mia
guarda che bel sereno,
che belle stelle,
che bella notte
per rubar le belle

Oppure, quest'altra canta alla boara, comune a tutta l'alta Romagna, raccolta a Galeata,:
U s'è livé la stéla buvaréna,
se nun m'inghèn, l'è quèla 'dla
matèna
u s'è livé la stèla de' buvére,
se nun m'inghèn, l'è quèla de' dè
ciére

Si è levata la stella boarina,
se non mi inganno è quella della
mattina
si è levata la stella del boaro,
se non m'inganno è quella del giorno
chiaro

Il rito collettivo della sfoglieria del granturco, in quel di Modigliana, ha un seguito che ci viene raccontato da Arcangelo Vespignani sulle pagine della rivista "La Piè" nel 1920. La "cerimonia" che ci viene descritta contiene elementi "coreografici" e "teatrali" di assoluta originalità e unicità, arrichiti in particolare dalla presenza di un personaggio che fa il verso alla cornacchia:
Finita la sfujarì, si ridussero in casa nella gran cucina. E maccheroni e boccali di sangiovese furon tanti e più tanta l'allegria. Poi arrivò quel da l'urganèn: un suonatore che funzionava a vino. Attaccò il trescone e la monferrina e il valzer. Ma questo non bastava per tutta quella allegria … allora fu la volta de bal dla scrana (il ballo della sedia), de ball de specc (il ballo dello specchio) e poi de bal dl uslàzz (il ballo dell'uccellaccio).

Nella descrizione del Vespignai il ballo coinvolge undici uomini e dieci donne le quali si rintanano negli angoli della casa o dietro i mobili; al ritmo forsennato dell'organetto un'uomo, proclamato uslazz, a braccia allargate e tese a imitare il volo della cornacchia è messo al centro di un cerchio composto dagli altri uomini che per mano gli girano attorno saltando a tempo di musica.
Quello che è in mezzo annuncia:
L'uslàzz l'a fàt e nid (l'uccellaccio ha fatto il nido)
e dopo un po’:
l'uslàzz l'a fàt un òv (l'uccellaccio ha fatto un uovo)
ancora:
l'uslàzz u n'a fàt du (l'uccellacio ne ha fatti due)
l'organetto accellera il ritmo, il girotondo diventa più veloce, frenetico e, l'uomo all'improvviso a voce sempre più alta:
l'uslàzz e cova agli òv (l'uccellaccio cova le uova)
poi, sempre più veloce:
l'è nèd un uslàzz (è nato un uccellaccio)
l'à mèss i spruncon ( ha messo gli artigli)
l'à mess una penna (ha messo una penna)
l'à fat 'na bela còda (ha fatto una bella coda)
l'à mess agli él (ha messo le ali)
infine conclude con l'esclamazione gridata:
l'uslàzz l'à ciàp e vol (l'uccellaccio ha preso il volo)
a questa frase il cerchio si scompone e, compreso l'imitatore della cornacchia, tutti gli uomini, storditi dal girotondo, si precipitano, barcollando, alla ricerca delle donne per formare delle coppie da ballo. Uno degli uomini rimarrà solitario ed andrà a sostituire il predecessore nel ruolo dell'imitatore dell'uccellaccio. Così il ballo prosegue con lo scambio dell'imitatore e la ricerca di una bella ragazza … la festa finì così: quell da l'urganén aveva bevuto come un accidente … e l'urganén si sgonfiò …

Dal saggio di Paolo Fabbri riscopriamo anche antichi rituali tradizionale dedicati alle stagioni e alla scansione dei mesi … Chi si trovasse sui nostri monti l'ultima sera di febbraio, verso l'ave maria, qua e là pei campi vedrebbe accendersi qualche fuoco … In questa sera i contadini fanno lume a Marzo … ripetendo la seguente canzoncina:
Lom a Merz, lom a Merz ! (Lume a Marzo, lume a Marzo !)
Ogne spiga fèzza un quert, (di ogni spiga faccio un quarto,)
un quert e 'na quartarola (un quarto una quartaiola)
Da riempì la brolla nova, (da riempire la brocca nuova)
Un quert e un quarton (un quarto e un quartone)
Da riempì e nost casson. (da riempire il nostro cassone)

Anche durante la notte di San Giuseppe (18 – 19 marzo), nell’entroterra romagnolo, era consuetudine accendere dei falò propiziatori di auspicio per un buon raccolto. Così come al fugarén (le fogarine) che appartengono alla ritualità del calendario contadino arcaico, anche altre date del calendario erano motivo di credenza popolare …
Il primo giorno di Aprile, se vogliono far dispetto al vicino, gli gettano un po’ di rusco dietro l'uscio, con cui credono di portargli le pulci; quindi scappano gridando:
Ieri era Marzo
Oggi gli è Aprile:
Tutte le pulci
Nel tuo cortile

La superstizione, la paura per l'ignoto, sono anch'essi fonte di rituali popolari scaramantici:
Del mal d'occhio si ha paura di quello che possono dare gli stregoni.
Per difendersi da questi si usa di portare il filo rosso, che si mette anche alle bestie …

Il modo più diffuso di far le malie tra amanti sembra il piadino dei sette molini: prendono la farina di sette molini, e ne fanno una schiacciata che si dà da mangiare a colui che si vuole ammaliare. Chi ha mangiato questa schiacciata, non può far a meno di star colle persone dalle quali l'ha ricevuta.
C'è anche un'erba, chiamata l'erba della Madonna, che … si coglie, e si accomoda sopra un quadro della Vergine vicino al letto: se l'erba si secca, l'ammalato muore; se fiorisce risana …
Ma abbiamo ancora da osservare qualche altro più manifesto avanzo del paganesimo. Uno di questi è la riverenza che i contadini hanno verso i termini che sono quelle pietre ritte in mezzo ai campi per indicare i confini del terreno. Questi termini sono come una cosa sacra: guai a colui che li muovesse! Dicono che quando uno ha mosso o portato via un confine, giunto poi la termine della vita, non può morire, e rimane in una lunga agonia, finchè non gli si metta un sasso sotto la testa.

I contadini hanno una scarsa fiducia nella scienza del medico … Si dice generalmente che il contadino fa chiamare il medico quando sarebbe arrivato il momento di far venire il prete, ed è vero. Bisogna poi dire, che in caso di incidente, il contadino preferisce ricorrere agli individui che, essendo nati in certi giorni dell’anno, sono ritenuti possedere la virtù di guarire con alcuni segni le conseguenze di cadute, le bruciature, le ferite di ogni genere … (Paysan Métayer … op. cit.)

Altri pregiudizi gravissimi governano talora la condotta de' nostri paesani d'ogni età e d'ogni condizione … per certe malattie proprie o de' cari loro ricorrono per esempio ai granelli omeopatici, alle infusioni o decozioni d'erbe o radici, ai cerotti, alle polveri marziali, ecc. … spacciati dai cerretani, dagli speziali e dalle donnicciole … Né qui finiscono i volgari pregiudizi … un segno di croce od una legatura … che quegli che segna o lega sia nato colla camicia della Madonna, se no la cosa non riesce … non terrò parola delle fattucchiere e stregonerie del mal occhio, e di non poche altre diaboliche influenze … e finirò ricordando appena i devoti pellegrinaggi, le pie offerte, i divini uffizi, i voti solenni, le implorate benedizioni, le miracolose cinture, i sacri scapolari ecc, che fra noi pure, come forse per tutto, hanno la sognata virtù di guarir ogni male.
(Topografia Medica op. cit.)

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