venerdì 2 gennaio 2009

La muntagna la ie bela mo la vita la ie dura !

Chi partendo dalla pianura, transita per la collina ed arriva nell’alta montagna romagnola, spaziando con l’occhio contempla spettacoli suggestivi e indimenticabili. Quercie, faggi, abeti, pini, prati e selve, pascoli e seminativi, magnifici bovini ed ovini, selvaggina varia, ricchi e limpidi corsi d’acqua, serpeggianti mulattiere, casolari sparsi, carbonaie fumanti, cataste di legna, funicolari, importanti centrali elettriche, roccie, paurosi burroni, florica e robusta gente montanara: ecco in sintesi la pregevole montagna romagnola … [dove] regna un certo disordine nella coltivazione che crea squilibri di produzione, danni alla struttura idrogeologica e disagio economico dei montanari. Infatti si vedono zone che, per la lro conformazione dìfisica e geologica, anziché essere rimbonscate sono coltivate a normale rotazione agraria e viceversa; zone in cui avviene il disboscamento anzitempo; altre coltivate sempre in una determinata coltura di immediato reddito. … E purtroppo i montanari, che hanno compreso l’abisso sociale che li separa da altre categorie di lavorartori della pianura, si orientano verso il piano. E lo spopolalemento è un fenomeno grave per la montagna. [1]
Nella collina forlivese i fenomeni di degradazione del terreno raggiungono una intensità notevole da portare lo squallore ed il deserto in intere ampie zone. … i fenomeni di degradazione sono in continuo aumento, minacciano la stabilità di abitanti, di strade pubbliche, di fabbricati colonici, di campi e coltura. …. [2]
Nell’800 il granturco, il frumento, il vino, il lino, la frutta, la seta greggia costituivano i prncipali prodotti dell’agricoltura in pinaura, unitamente al pollame, ai suini ed ai derivati della lavorazione delle loro carni, ai formaggi pecorini. … nell’alto appennino greggi di pecore e poco bestiame bovino sfruttavano i pascoli, mentre il terreno coltivato (grano, alberi da frutto e ortaggi) era poco e serviva, quasi esclusivamente, per il sostentamento della famiglia colonica. Dalle boscaglie si ricavavano legna e carbone. Sui colli si coltivavano viti, gelsi e pochi ulivi. … Tutta la campagna romagnola in pianura e in collina era caratterizzata da un susseguirsi di appezzamenti di terreno produttivo di forma rettangolare, delimitati nei due lati maggiori da filari di viti intercalate da olmi (Ulmus campestris) o anche da gelsi (Morus alba o Morus niger) collegati l’un all’altro da robusto filo metallico disposto orizzontalmente, lungo il quale si stendevano i tralci delle viti. Le foglie degli olmi venivano usate per l’alimentazione dei buoi e delle vacche; quelle dei gelsi per l’allevamento del baco da seta, largamente diffuso. … erano presenti ovunque le siepi ai lati delle strade, lungo i fossati, attorno alle case coloniche, alle ville (dimore estive di benestanti e proprietari terrieri), nei giardini e nei parchi, attorno alle scuole di campagna, nei cimiteri ….
L’agricoltura si trasforma, il lavoro animale viene sostituito dalle macchine; la guerra tutto travolge e sconvolge, e così il dopoguerra. Scopaiono i fileri delle viti, la mezzadria finisce.
La Romagna degli anni ’50 (del ‘900) è interessata dal fenomeno dell’abbandono dei campi … in collina e in montagna è quasi un esodo, tanto dominuiscono lee unità lavorative impegnate nei lavori agricoli; in pianura sono soprattutto i giovani che preferiscono occuparsi nelle industrie e nelle attività terziarie … In collina si va verso un’agricoltura prevalentemente cerealicolo-zootecnica, mentre in montagna, interessata da un vasto fenomeno di spopolamento, si intensificano i rimboschimenti e il miglioramento dei prati-pascoli con conseguente indirizzo zootecnico intensivo silo-pastorale. [3]
L’agricoltura collinare si sviluppa dai primi declivi sino ai 450/500 metri di altitudine. E basata pricnipalmente sulla coltivazione del grano e delle foraggere ed in minor misura sulle piante sarchiate e sulla viticoltura, che è prevalentemente consociata, per la scarsità dei vigneti. Le piante fruttifere sono assai poche e per lo più sparse od in filari. I frutteti sono assai rari di lititasssima estensione. Non esite una rotazione regolare. In generale metà della superfice e anche più viene coltivata a cereali e l’altra parte è occupata prevelentemente dal prato artificiale ed in assai minor misura dalle sarchiate. Le produzioni … sono piuttosto basse. … le attrezzature del podere sono … ridotte al minimo indispensabile … l’aratura meccanica … è fatta quasi esclusivamente da artigiani che lavorano per conto terzi.
L’economia montana poggia, olttrechè sul bosco, quasi comptemante sugli allevamenti zootecnici. … Le condizioni di lavoro sono spessso diffficili per il frazionamento del podere, la sistanza degli appezzamenti, le pendenze accentuate delle terre e, la vita du tanti coloni e coltivatori diretti è tutt’altro che comodo.
Numerosi sono i poderi lontani dalle vie rotabili e collegati a queste da impeervie mulattiere, talvolta e per lungo tempo, anche impraticabili. L’acqua potabile non di rado è scomoda e lonatana. Le abiatzioni sono sovente insufficienti e non igeniche. La luce elettrica … è ancora negata a troppi.
Se a tali condizioni si aggiungono la bassa produttività delle terre e l’insofferenza di molti giovani alla grave sperequazione, fra le condizioni statiche di vita del monte e la decisa evoluzione della collina e più ancora del piano, si trovano i motivi fondamentali, se non unici, dell’esodo di molte famiglie che lasciano i poderim talora ininterrotamente coltivati d per generazioni. Molti lavoratori teendono al paese, ai piccoli centri, lasciando la coltivazione dei campi, illusi da chissà quali miraggi e finiscono invece per ingrossare lentamente le file dei disoccupati. … così crescono i poderi «abbandonati».
Le nostre colline sono indubbiamente fra le più povere: la loro densità demografica non può essere più contenuta o nutrita da una agricoltura sempre più povera e decadente … l’avere nei secoli e nei decenni passati aggredito senza pietà e senza disciplina la foresta e il bosco ed imposto al suolo un «seminativo» quasi «nudo» è venuto determinando un disorrdine geo-idrologico tale da mettere in pericolo tutta l’economia agraia …
Lungo tutto il crinale appenninico il fenomeno [dei poderi «abbandonati»] assume tonalità e forme allarmanti. Nella zona collinare-montana della prrovincia di Forlì e di Ravenna ci sono oggi dai trecento ai quattrocento poderi «chiusi» e «abbandonati».
Spesso povere famiglie partono senza sapere dove andare; si rifugiano, talora, può dirsi, all’adiaccio, in locali di fortuna, in attesa di qualche «occasione», preda e strumento, spesso, di facili «imbonitori» in agguato. Dalla pianura, poi, salgono i cosidetti «ingaggiatori» di famiglie montanare per i poderi di pianura, dove avviene un fenomeno analogo … I giovani abbandonano volontariamente la terra; i vecchi non ce la fanno più. [4]
La legge 3 maggio 1982 n. 203 ha definitivamente cancellato dalle campagne le ultime vestigia della mezzadria; un contratto agrarrio che segnato per secoli il mondo agricolo, in particolar modo fra Romagna, Toscana, Umbria e Marche.
La mezzadria ha lasciato impronte delebili nel paesagggio, neell’agricoltura rurale; neelle consuetudini alimentarri, neella mentalità e nella cultura degli abitanti …
«I monti dell’Appennino che dividoni il Mugello dalla Romagna e così una parte della Romagna e del Casentino - scriveva nel 1778 il Granduca riformista Pietro Leopoldo - erano prrima tutti vestiti di boschi di faggi […] abolite che furono le leggi proibenti il taglio dcei boschi, non essendo stati espressamente eccetttuati gli Appennini […] cominciarono a devastaarli con fare i cosidetti ronchi, i quali consistono nel tagliare la maccchia, bruciarla e poi zapparla e lavorarla per seminarvi il grano, il quale per 2 o 3 anni riesce otttimamente, ma poi dopo al terra smossa e non più ritenuta dall’erba e dagli alberi e portata dalle precipitose pioggie nei fiumi di cui rialza i letti con pregiudizio della pianura, la montagna resta di scogli nudi» …
Ovviamente la distruzione dei boschi, praterie e campi era tutt’altro che omogenea nell’ampio terrritorio considerato, ma solamente nelle più basse cominità come Terra del Sole e Castrocaro e nei dintorni di Civitella essi lasciavano il posto alla coltura promiscua di erbe e piante, viti soprattutto. Nelle altre terre coltivate erano i seminattivi nudi a prevalere mentre la vite era coltivata ovunque le condizioni del suolo lo permettessero «in appezzamenti isolati, potata a mezzo braccio da terra», sui terrazzamenti che «hanno spetto quasi di grandi scale appoggiate sui monti». [5]

1 - Fiorello Jonta Giornale dell’Emilia 9 maggio 1951
2 - Fiorello Jonta Pensiero Romagnolo 26 gennaio 1952
3 - Alberto Silvestri “aspetti ecologici della Romagna del Pascoli” Studi Romagnoli 1993
4 - La valle del Savio - Numero speciale dei quaderni del Corpo forestale dello Stato dedicato alla “terza festa Nazionale della Montagna” in Forlì 1954
5 - Dante Bolognesi - il podere e il contadino in la terra a metà longo editore 1995

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